Nel carcere delle idee non c’è Rivoluzione ( Francesco Mario Pagano)
-scritto per il Nuovo Monitore Napoletano (pubblicato 1-6-2013)
Recentemente
ho avuto modo di visitare il carcere borbonico di Santo Stefano
nell’arcipelago ponziano, e la vista di quello che è stato uno dei
luoghi del ‘799, mi ha lasciato molte impressioni da decifrare.
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Torre centrale e quel che resta delle celle (T.A.) |
Nel
penitenziario ponziano furono stipati nel 1799 circa 500 prigionieri
politici dei fatti napoletani, la cui storia è ancora tutta da scrivere:
sappiamo pochissimo di loro, ma quello che sappiamo è che furono
brutalmente confinati per le loro idee politiche assimilate alla "feccia" della società che a Santo Stefano veniva relegata.
Gioiello
della progettazione borbonica con la sua forma a ferro di cavallo che
l’architetto Carpì ragionò pare senza aver letto il trattato del
Bentham, Santo Stefano è a tutti gli effetti il più bell’esempio di
carcere panottico della storia.
Sull’isola
tonda spersa trai flutti la detenzione dei prigionieri era osservata
da ogni parte: dovunque dalle guardie verso le 99 celle.
Spettatori
e spettacolo -torture e crimini furono denunciati lucidamente dal
Settembrini qui detenuto in quell’altra Rivoluzione (come pure
il Fascismo vi relegò personalità del calibro di Sandro Pertini)- molto
ordinatamente si osservavano dalle guardiole; la logica del controllo
della mente e della paura che le punizioni potevano incutere, lasciano
oggi riflettere su quanto la realtà della detenzione dovesse ancora
adeguarsi ai trattati filosofici dell’epoca che mise mano alla riforma
dell’idea di Legge e di pena: l’Età dei Lumi.
Sulla
scorta delle innovazione di Montesquieu e del suo Esprit de loix
(1748) nonostante nel 1765 fosse stato scritto da Beccaria Dei delitti
e delle Pene e il caffè dei fratelli Verri ne avesse immediatamente
ripresa l’eco, fu proprio a Napoli grazie all’operato di Gaetano
Filangeri (La scienza della legislazione, 1780) e di Francesco Mario
Pagano (Considerazioni sul processo criminale e Principi del codice
penale 1787) che le novità illuministe sui processi e sulle pene trovano
massima amplificazione europea fino alla Russia dello zar Paolo I.
La
questione della Legge e della pena erano per gli Illuministi
massimamente fondamentali per la ricostruzione degli Stati moderni, e
proprio Mario Pagano, morto ormai di tubercolosi il Filangieri, rese
grande lo spirito delle innovazioni che attecchirono a Napoli in quei
tumultuosi anni: la Rivoluzione passava dapprima per la mente, e fu il
Pagano a sostenere che l’idea della pena fosse indissolubilmente legata
alla “perdita di un diritto per un diritto violato o per un dovere
omesso”.
Nei
giorni ultimi del ‘799 furono 8000 i processi indetti contro gli
insorti e almeno 100 condanne a morte furono eseguite con processi
sommari che la dinastia borbonica non esitò a imbandire unitamente a
persecuzioni personali: dopo gli episodi cruenti della repressione del
1794 (3 condanne a morte che Mario Pagano aveva difeso fino allo
strenuo, rischiando in prima persona e meritandosi l’esilio a Roma)
3000 cittadini furono incarcerati in ogni dove della città fosse
possibile e molti di essi perirono senza che se ne sappia altro.
Il
sospetto e la delazione che avevano accompagnato fina dalle prime
battute del Settecento la corte e la città di Napoli, non risparmiarono
a nessuno degli insorti i trattamenti che le idee di Beccaria,
Filangieri e Pagano avevano contribuito a trasformare a livello
mondiale nella filosofia giurisprudenziale non disdegnando di impugnare
le armi nella battaglia.
A
Mario Pagano, la mente delle grandi trasformazioni nei giorni della
Repubblica toccò, capitolata la Repubblica, la famigerata “cella del
coccodrillo” in Castelnuovo, dove non v’era che un solo vaso per ogni
mangiare e per altre attività corporee, senza giaciglio e senza alcuna
visita, con percosse regolari e interrogatori tutt’altro che
democratici, poi fu trasferito alla Vicaria e in Sant’Elmo, fino
all’impiccagione in Piazza Mercato del 29 ottobre del 1799.
Solo
per dare un esempio dell’azione tenace e di grandi riforme che il
Pagano riuscì a compiere in uno sforzo immane nei soli primo tre mesi
di Rivoluzione, basta scorrere le pagine del Monitore Napoletano di
Eleonora Pimentel (a Mario Pagano dobbiamo il progetto mai approvato
della Costituzione della Repubblica napoletana 1799) e basta enumerare
le Leggi che vennero proclamate per la Repubblica Partenopea:
-abolizione delle servitù feudali
-abolizione della tortura e delle carceri segrete
-abolizione dei fidecommessi (privilegi dei primogeniti)
-abolizione dell'imposta sui grani, farina, pesce e pasta
-abolizione del testatico (ciascuna persona pagava una tassa per esistere)
E
la plebe che non seppe d'esser trattata da popolo come ben sappiamo
reagì assecondando la sete di vendetta del sovrano borbonico, che vedeva
come unica realtà quella della distruzione sistemica, panottica,
dell’esperienza napoletana.
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L'ingresso di Santo Stefano (T.A.) |
Da
Roma, la Chiesa condannava i philosophes e non soltanto quelli
francesi: accusati di minare i dogmi della religione e considerati
soprattutto nemici politici in grado detonare irrimediabilmente senza
ritorno lo status-quo del potere.
Così i grandi pensatori come Francesco Mario Pagano corrisposero con la vita le proprie innovazioni per i diritti dell’uomo.
A
distanza di oltre due secoli, la città di Napoli ancora non conosce,
nè apprezza la grandezza del pensiero che caratterizzò i fatti del
‘799, nè il grande sforzo europeo che i philosophes partenopei
sostennero per elevare la loro città al clima di un’epoca che ha
cambiato la storia del mondo.
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