Vandalizzato il murale della Tarantina

La Candelora è da poco passata: la festa ufficiale dei femminielli di Napoli a Montevergine su cui abbandonano testi, racconti e ricerche, che affondano fino all’VIII secolo d.C. le radici di un genere ulteriore, quello naturale dei femminielli napoletani.
Cultura unica al mondo ad avere
elaborato la convivenza con il travestitismo, tra rituali di figliata e legami con
la dea fortuna. Chi ha compiuto il gesto evidentemente ignora completamente tutto questo, e ritiene che Napoli sia altro, ma cosa? Un ignobile gesto di distruzione con lo spray?
Come racconta la sua biografia (Tarantina
e la sua “dolce vita” di Gabriella Romano, 2013) è nata ad Avetrana nel
marzo del 1936 -oggi tristemente famosa dopo il delitto di Sarah Scazzi- ed ha
ancora una sorella ultracentenaria, e lì ha l’ultimo affetto familiare che le
rimane. La fame, quella vera, l’aveva condotta lontano: a nove anni viene cacciata
da casa, e a 12 a Napoli durante la guerra. Trasferitasi nella Roma della dolce
vita a piazza Rondanini a due passi dal Pantheon, diventa ispirazione per la
pittrice Novella Parigini, e conosce Fellini. Pasolini la porta a cena, frequenta
Moravia, lo scrittore Goffredo Parise, Laura Betti e Marina Lante della Rovere.
Posa per l’Accademia di Belle Arti di Roma, e nel 1968, dopo una foto osè a
Villa Borghese finita sui giornali deve scappare. Torna a Napoli diventando
domestica di una casa di tolleranza. Fortunato Calvino le ha dedicato un
video-documentario proiettato al Pan (2016) e ancora prima la Federico II una
ricerca sull’estinzione del genere femminiello, di Massimo Andrei. Enzo
Gragnaniello e Red Ronnie l’hanno intervistata al RoxyBar, e ancora Fortunato
Calvino l’ha portata al Teatro Nuovo a recitare nel 2018 la sua stessa vita.
Intervistata di continuo, coccolata dal popolo, ormai parte storica dei
Quartieri, la dignità e la lotta per la sopravvivenza sono raccontate con una
lucidità estrema: una Napoli affettiva dove la Tarantina finalmente trova la
vera inclusione sociale. Finita in carcere più volte per travestitismo, negli anni del buon costume e delle censure, era a
Poggioreale durante il terremoto del 1980, e oggi vive di pensione minima partecipando
alle Tombole Scostumate, la vera arte dei femminielli. Nella letteratura
napoletana Giuseppe Patroni Griffi, Annibale Ruccello, e Maurizio de Giovanni
hanno incluso i femminielli nei loro racconti e ancora, Antonella Ossorio ne
“La Mammana” ha giustamente parlato di Lucina, il femminiello delle Quattro
Giornate, perché come sappiamo ormai storicamente, i femminielli organizzandosi
parteciparono con coraggio alla lotta di liberazione della città. Nel suo
quartiere, la Tarantina ha finalmente il suo ritratto col panariello, e insieme
a Peppe Le Poisonniè, ‘o pesciaiuolo
del Vasto, è parte della cultura che affonda nei racconti di Basile, di De
Simone e Curzio Malaparte. Ci tiene ad essere chiamata femminiello: trans, gay,
omosessuale, sono per lei nomignoli senza senso, quasi volgari. E non possono
racchiudere la sua vita, fatta di diversità e peripezie, che a Napoli ha
trovato accoglienza e calore umano da sempre. E se ha un rimpianto è quello di
essersi rifatta le labbra cedendo ai tempi del silicone: “Mi sono rovinata la
bocca, guarda ‘cca comme sto cumbenata!”.
Ai Quartieri Spagnoli, nel suo vascio la mattina prepara il caffè e una
tazzina la poggia sul davanzale: la offre ai passanti e agli amici, per
chiacchierare e accogliere, stare insomma tra la gente, come ha sempre fatto. La
strada in ogni declinazione possibile, è stata tutta la sua vita. E la strada
oggi le tributa l’omaggio più triste: l'atto vandalico che non meritava.
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