La terra del Vesuvio nel sangue, come vino (tenuta Sorrentino)
Ascolto rapita: il primo a riconoscere il potenziale di questo vino e di questa azienda che oggi è un’impresa di famiglia e dà lavoro ad almeno una ventina di persone, è Don Salvatore a Mergellina: ebbe in regalo due bottiglie, e immediatamente ne ordinò 2000, e di lì la graduale ascesa di una famiglia e di un progetto collettivo. Paolo Sorrentino faceva il bancario, ed eredita a suo tempo un pezzetto di 3 moggi (l’unità di misura partenopea) e piano piano arriva a 75, e oggi sperando, vuole proseguire questo splendido puzzle che ricostruisce un paesaggio unico al mondo: la tenuta è circondata da un migliaio di piante di ulive che frangono il vento che viene da Sud-Est e che potrebbe arrecare danno alle viti, ma che pure, in un autunno come questo, aiuta le piante a perdere le foglie per l’inizio della potatura. Maria Paola Sorrentino, la figlia giovane, mi ha accompagnata a visitare il vigneto storico di Boscotrecase, spiegandomi che la proprietà si è ingrandita pian piano, e che la parte più antica possiede viti di ben 300 anni, sopravvissute alla lava degli inizi del ‘900 e al mancato attacco della filossera della seconda metà dell‘800 che fece strage in tutta Europa, ma non qui, perchè il terreno del Vesuvio protegge le viti meglio che gli antiparassitari, e non c'è bisogno di piantare nemmeno le rose ai capi dei filari come indicatori di eventuali attacchi di parassiti. Qua la terra del Vulcano fa tutto: difronte alle viti che hanno 300 anni, non un giorno.
Piedirosso DOC di 300 anni |
Mi siedo sulla bella veranda che ha al centro un noce e mamma Angela, cucina un brodo e un polpettoncino niente male,e inizio a mangiare col resto della famiglia: Benny Sorrentino è l’enologa di famiglia, e l'altro fratello, Giuseppe, si occupa di marketing. Papà Paolo soprintende ogni cosa, burbero per finta e in tenuta agricola: la terra dà sempre da fare e poche chiacchiere. Insomma qua si fa tutto in famiglia davvero: vino per Giappone, Stati Uniti, Europa e naturalmente Italia, di cui una intera linea biologica, e prodotti agroalimentari biologici di gran qualità. Noi pranziamo intanto, e io provo il vino 100% bio e poi mi siedo con Paolo Sorrentino, e mi faccio contare la storia; il c’era una volta che tanto mi incanta. Di là, in cucina l’amico chef Eduardo Estatico mi prepara gli struffoli, e va a prendere davanti a me dalle piante dell’agrumeto, limoni e arance e l’odore buono del fritto si sparge. Sulla veranda panoramica, nel vento di scirocco che inizia a soffiare, mi gusto la macchia di verde e il mare plumbeo che gira da Castellammare e si vede tutto da quissù: la grappa di Aglianico “Fior di ginestre” che ci fa compagnia è un vero fiore all’occhiello dell’azienda. Una bella storia, questa storia di famiglia-azienda, dove mille ulivi fanno la guardia alle viti per frangere i venti che spirano dal mare, e lasciando passare solo quello che serve per far cadere le foglie e ventilare l’uva, e così passa il pomeriggio e arriva la sera. Nella macchia di verde che siamo, al buio, mille luci si accendono: il caos dell’urbanizzazione senza senso è lontano. Ripasso in mente i nomi: le Benigna Mater, Marescialla, Angela, Paolo, Maria Paola, Benny, Giuseppe, Eduardo. Ora conosco anche questa storia, dall’altro lato del Vesuvio: la vigna sta in cima a una colata piatta che assomiglia ad una lingua di terra ma che è di vulcano, una zattera uscita dal ventre della Muntagna e proprio tra due valloni: le alture del monte alle mie spalle sono solo rimbalzi di lava che nei secoli si sono rovesciati, penso a quei giganti di 300 anni che stanno per perdere le foglie.Sono un monumento, da proteggere, raccontare e visitare.
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