Elena Ferrante: Caravaggio e Michelangelo Merisi
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Caravaggio e Michelangelo Merisi: Sette Opere di Tentazione |
C’è una riflessione nel nuovo libro di Elena Ferrante che
mi ha molto colpita: cosa vuol davvero dire quando scrive:
“Se dovessi dare all’atto
creativo delle Sette opere di Misericordia il nome di Caravaggio e alla persona anagraficamente determinata quello di Michelangelo
Merisi, sceglierei di passare la gran
parte del mio tempo col Caravaggio e
non con Merisi. Merisi mi appannerebbe
gli occhi " ?
La frase compare ne L’invenzione occasionale
- che è l’insieme degli editoriali scritti per il The Guardian nel 2018 e uscito da un mese in Italia.
Siamo tutti convinti di conoscere i capolavori di
Caravaggio su cui esistono montagne di libri, congetture, dettagli e lunghe
diatribe circa le attribuzioni. Anzi vorremmo saperne sempre di più: Caravaggio
è una star a cui dedicare mostre continue, per meravigliare un pubblico curioso delle novità editoriali
sulla sua vicenda.
Nella moda del momento, il pittore di cappa e spada, con
le sue romanzesche vicende ci pare più vicino di qualunque altro.
Nell’articolo intitolato L’unico vero nome (del 7 aprile 2018) da cui la citazione iniziale è tratta, dal pretesto di un dipinto d'autore ignoto conservato al
Pio Monte a Napoli, la scrittrice ci invita a mettere in dubbio le nostre certezze
e a cercare cosa ci potrebbe appannare gli occhi.
I dati anagrafici e biografici dell’artista o la fama, sono
importanti per guardare un’opera, ma meno del suo atto creativo. Quale che sia la strategia
espressiva utilizzata, il come ha
risolto l’artista in pratica, determina davvero il suo nome - l’unico vero nome.
Discorsi del genere li fanno gli iconografi e iconologi,
gli specialisti del segno; ma la grammatica e la sintassi di un dipinto
assomigliano tanto a quella letteraria.
E’ difficile separare le azioni dal genio: immaginiamo Maradona senza l’uomo e le sue
tribolate vicende; Fellini senza
l’adulterio e il matrimonio; Battiato nelle conversazioni con il suo cane e
non con Sgalambro. Non riesce a
tutti.
Riconoscere un’opera senza debolezze o mitizzazioni, senza
paternità e maternità firmate, che si regge da sola con le sue gambe, è sfidare
il senso comune.
Biografia, autobiografia, documenti o critica, raccontano
una storia certamente vera – a volte
verosimile se si pensa al Caravaggio e ai suoi biografi più o meno ostili- ma meno
autentica di quella che narra ogni sua opera in sé.
Dovremmo perciò essere capaci di guardare un’opera riconoscendola
nell’oceano della tradizione e intuendone il salto nel futuro.
La provocazione della Ferrante -che chiama gioco, ma innocente non è affatto- è la
stessa legata al non aver mai rivelato la sua identità. Ha più volte ribadito nei
suoi scritti il desiderio profondo di osservare come le sue opere sarebbero riuscite
a vivere senza il suo volto. E ne ha fatto un caso eclatante in un’epoca
social. La libertà di invenzione è forse
la più bella di quelle che l’uomo e la donna possano sperimentare, questo mi pare
di cogliere nell’articolo.E non c'è dubbio che inducano alla tentazione di gettare via tante zavorre.
Il Caravaggio della canestra
è lo stesso uomo della Flagellazione
a Capodimonte.
Ma Caravaggio è tanti Caravaggio, di cui forse non
conosceremo mai davvero tutte le derive dello stile nella sua pur breve vita. A
quanti innominati e ignoti sapremmo dare una identità nella storia dell’arte -delle
arti- senza volerne conoscere per forza la firma, il volto e le vicende, è una
questione interessante.
Un’opera come dice la Ferrante, può davvero provare a stare “a galla nel gran fiume delle forme”.
E se fosse possibile per un misterioso miracolo del tempo tornare a quel 1607 a
Napoli, e bersi un caffè con Michelangelo Merisi, Elena Ferrante sceglierebbe
alla fine di sorseggiarlo da sola davanti alla tela del Pio Monte. O di non berlo affatto. Forse per un autore ed un’autrice accompagnati
sempre da grandi schiamazzi, non è del
tutto sbagliato.
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