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Gennaro Giacobino, dipinto XVIII sec.Museo del Tesoro |
La storia di San Gennaro è materia che si coagula e squaglia
ogni volta che si tenta di narrarne le mille versioni: tre liquefazioni
ufficiali l’anno. Settembre, in occasione della decollazione, dicembre per l’eruzione
del 1631, e soprattutto maggio.
La processione degli
Inghirlandati di maggio è documentata dal 1392 (per altri 1337) anche se ormai
di ghirlande di rose e frasche che decoravano il capo dei prelati che seguivano
San Gennaro verso Antignano, abbiamo perso del tutto memoria.
Maggio è un mese
pagano: in un coagulo della storia, i preti inghirlandati assomigliano tanto ai
sacerdoti dei ludi floreali delle Calendimaggio. La prima volta del prodigio
del sangue è però d’agosto: Luigi II d’Angiò tenta di prendersi Napoli e il
sangue si liquefa all’improvviso (1389). Ancora Luigi II, il 7 maggio 1392,
dopo aver assistito alle cannonate delle galee dei Durazzo che rivendicano il
trono, partecipa alla processione degli “inghirlandati”.
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Roxy In The Box 2015, Stay Liquid, per gentile concessione |
Se Carlo VIII alla fine
del 1400 poteva verificare direttamente il miracolo inzuppando un bastoncino
d’argento nel sangue, dall’inizio del 1500 e fino al 1800, assistiamo al
ricongiungimento equo di testa e sangue trai Sedili, le antiche “municipalità” della città: ogni anno il
reliquiario viene prelevato la mattina dalla cattedrale e attende le ampolle
della processione nelle varie chiese, a turno. Il 1527 è anno del patto
notarile tra la città e il santo: è questa la vera “Operazione San Gennaro”
della storia, con la promessa dei cittadini di una nuova cappella se il santo
fermerà la peste, la lava e soprattutto i Francesi di Lautrec alle porte. Per i
tre anni successivi all’accordo, il sangue comunque non si squaglia e solo nel
1646 la nuova cappella del Tesoro è pronta dopo
un vero incidente epocale:
nel
1557 il reverendo Mariano Catalano inciampa nel Duomo sulle scale a chiocciola
della torre del Tesoro Vecchio, e ruzzola con le ampolle in una grande
confusione di gente spaventata. Niente paura, non si ruppero, ma si imparò a
mettere il laccio al collo del prelato, come ancora oggi vediamo. E mentre si inaugurava la nuova cappella, il
cardinale Ascanio Filomarino in maggio negò le reliquie al Sedile di Capuana, i
cui nobili per niente impressionati, pensarono bene di sequestrarle con le armi
in pugno a processione iniziata: nel fuggi-fuggi generale di pie sottane, le
spoglie furono sequestrate nel cortile di palazzo Pignatelli e intervenne
direttamente il Papa.
Nel maggio 1734 durante l’Ottavario -ossia gli
otto giorni di esposizione del sangue al popolo- Carlo III di Borbone per
festeggiare l’ingresso in città, fece erigere il palo della cuccagna dall’architetto
Nicola Tagliacozzi Canale, ma il panico degli affamati nell’arrampicata costò
la vita a 20 persone e il sangue improvvisamente si ricoagulò. Maggio 1799: Eleonora
Pimentel Fonseca scrive sul Monitore che “Pure San Gennaro si è fatto
Giacobino!”, mentre per Alexandre Dumas padre, a gennaio dello stesso anno, il
generale Championnet ci mise dieci minuti a farlo squagliare minacciando con le
armi.
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Il giorno dei Fazzoletti Bianchi |
Venendo alla contemporaneità: i
l Ministero dell’Interno prova a modificare lo
statuto della Deputazione di San Gennaro e tremila persone, grazie al tam-tam
dei social, si ritrovano al Duomo a sventolare il fazzoletto bianco come si fa
ogni volta che si annuncia la liquefazione. Nel “Miracolo di maggio” del 2016,
l’allora Ministro Angelino Alfano dovette incontrare di corsa a Napoli la
Deputazione e la Curia per sugellare l’intesa: nessuno tocchi al popolo San
Gennaro. Ma le sorprese del nostro patrono non finiscono mai.
Nel 2017 viene
ritrovata una terza ampolla col sangue nel Complesso Monumentale Vincenziano ai
Vergini: d
onata nel 1793, è quella nominata da Matilde Serao insieme al dito
indice tagliato dal carnefice e al molare del santo al Gesù Nuovo. Altro sangue
ianuario si conservava in Donnalbina; non dimentichiamo quello che Carlo III si
portò nella Cappella Reale a Madrid, né la settecentesca ampolla puteolana
ricomparsa a sorpresa nel 1998.
Fresca è l’aria e l’odore di rose di Gennaro inghirlandato, e speriamo
tutti di sospirare come re Carlo nel maggio 1735 quando a Messina, aspettò
sveglio il corriere a tarda notte con la lieta novella dello scioglimento: “Ora
si che vado a dormir quieto”.
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