L'avanguardia del Tondo di Capodimonte
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Fergola, 1853, Tondo di Capodimonte |
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da Google, la visione del tondo e dei Giardini P.Iolanda |
Nel 1758 Winckelmann visitò Capodimonte e la sua galleria
di dipinti: “dopo d'aver superata la salita
erta e scoscesa, con un palmo di lingua da fuori”. Insomma, salire a Capodimonte
era una vera impresa; quando il Palazzo fu scelto come residenza dai
sovrani napoleonici, era diventato più raggiungibile grazie alla costruzione
del Corso Napoleone, superando il dislivello della Sanità con il ponte (1807-1809).
Al ritorno di Ferdinando I, Antonio Niccolini geniale architetto toscano, riprese
in mano i progetti e decise di sfruttare il costone della rinominata Strada
Nuova di Capodimonte ideando un’ampia scenografia paesaggistica aggiornata
all’ultimo grido dei giardini contemporanei. Aveva già sistemato il parco della
Villa Floridiana e, per Capodimonte, ricorse ad uno scenario monumentale a
partire dall’ideazione del Tondo (1826) che è in verità una splendida ellissi che
spartiva il traffico carrabile da quello pedonale, incanalando i passanti verso
un’ascesa gradevolmente accompagnata dal verde. . Un lungo braccio di ferro fra
competenza e burocrazia, diremmo oggi, vide trionfare l’architetto reale
attraverso un epico compromesso: dovette ricorrere ai finanziamenti privati di
Achille Meuricofree, imprenditore e banchiere di origini svizzere che possedeva
una villa proprio sopra la collina, e quando questi uscì dal progetto,
finanziare lui stesso la sua fatica. Appaltatore diretto di sé, barattando il
progetto degli edifici del Tondo e vendendo addirittura la sua collezione
privata alla Casa Reale, il Niccolini riuscì a realizzare la sua scalinata-anfiteatro:
“Le tese della scalinata saranno sette, divisi d’altranti riposi, ciascuno dei
quali avrà un sedile di pietra arsa per comodo del pubblico”. Sostanzialmente egli
desiderava un fondale a gradoni terminante con un obelisco al centro del Tondo,
che però non venne mai posizionato, mentre al suo posto esiste ancora oggi un’aiuola
con un platano secolare e una fontana. Scalinata e Tondo furono aperti al
pubblico nel 1836, unitamente ai giardini laterali all’inglese, tra grotte e
cascate artificiali i cui lavori di sistemazione proseguirono fino al 1845. Sugli
alti basamenti di pietra lavica grigia che campeggiano alla base dello scalone,
due corone laureate in marmo mostrano a sinistra la scritta “Giardino Prin.ssa
Iolanda” e a destra, lo stemma dei Savoia e del Comune di Napoli. In pieno
regime fascista nel 1923, fu omaggiata per le sue nozze la figlia di re Vittorio Emanuele III e
della Regina Elena di Montenegro, Iolanda Margherita Milena Elisabetta Romana
Maria di Savoia (1901-86). Ma il vero colpo di teatro e di genio, Antonio
Niccolini lo realizzò nei due vasi canopi di marmo della scalinata. Lui che
aveva ricostruito il San Carlo dopo il nefasto incendio del 1816 in soli 10
mesi, in pieno gusto neoclassico egittizzante, pensò ad una concessione alla
moda: i suoi canopi egizi -che nella versione originale contenevano le viscere
estratte dalle mummie- sono bifronti come San Gennaro, e guardano
contemporaneamente la salita e il Tondo.Il progetto originario del Niccolini dovette fare i conti con la Direzione Ponti e Strade che si occupava allora delle istanze di natura economica e che avrebbe fatto volentieri a meno delle “velleità artistiche” dell’architetto
I due vasi, erano solo il
preludio delle meraviglie che Capodimonte prometteva di mostrare ai visitatori.
Una celeberrima canzone dice: “Funtanella 'e
Capemonte, / Chistu core mme se schianta”. Mai come ora
nella barbarie contemporanea dell'abbandono del luogo, possiamo dire con certezza che è quella del
Niccolini.
Pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno il 23/5/2018
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