Ossi di cozza 'mbuttunata, ricetta stabiese.

Mi sono concessa uno spaghetto alle vongole stabiesi, e il proprietario di Miseria e Nobiltà è Salvatore, ma vi serve la figlia mentre cucinano la moglie e la madre. 
Classe 1951, a quindici anni Salvatore lavorava già nei gloriosi cantieri navali di Castellammare di Stabia; quei regi arsenali del 1783 che Giovanni Edoardo Acton pensò per re Ferdinando IV.
"Esso fu qui stabilito da Re Ferdinando IV, fin da' primi anni del suo regno, occupandovi un vasto spazio di terreno, nonché l'abolito monasterio de' Padri Carmelitani. Di buone fabbriche il sussidiò quel principe e di utensili e macchine necessarie quali a quei tempi poteansi desiderare. Oggidì è il primo arsenale del regno, e tale che fa invidia a quelli di parecchie regioni d'Europa. Sonovi in esso vari magazzini di deposito, e conserve d'acqua per mettere a mollo il legname, e sale per i lavori, e ferriere, e macchine ed argani, secondo che dagli ultimi progressi della scienza sono addimantati..." (Achille Gigante, "Viaggi artistici per le Due Sicilie", Napoli, 1845)

Salvatore è un uomo longilineo in formissima per la sua età, la voce è una specie di cavernoso rimbombo di cartavetra, e il suo un dialetto stretto, chiuso e strascicato come lo è da queste parti: di là dal Monte Somma. Fa parte di una generazione che aveva lavoro, prospettive, famiglie da campare faticando sui cantieri che facevano grandiose navi e poi in mare in ogni modo, e con ogni mezzo. 
Allora, c'era lavoro per tutti: Salvatore raccontava del varo dell'incrociatore Vittorio Veneto che il 5 Febbraio 1967, nei Cantieri navali della Navalmeccanica di Castellammare di Stabia venne calato in acqua dalla madrina Ernestina Santacaterina Saragat, figlia del presidente Giuseppe Saragat. 
il varo della Vittorio Veneto a Castellammare
Ma in quel periodo, ci furono le prove della nave a largo e nel golfo, e così Salvatore racconta la soddisfazione di aver partecipato all'impresa di costruzione e verifica di quello che un tempo era il risultato tecnologico più avanzato tra difesa antiaerea e sommergibile.
La nave dismessa nel 2003 doveva diventare dopo la sua lunga e gloriosa carriera, un museo; ma ad oggi giace abbandonata nei cantieri di Taranto, poichè il costo dell'operazione è altissimo.
Probabilmente non se ne farà mai niente, oppure si affonderà il relitto per popolare qualche colonia di pesci...chissà.
Sta di fatto che il Nostro racconta che all'altezza dei bagni della Regina Giovanna la nave provò le sue prime manovre, ed era uno spettacolo a vedersi e tanta l'onda che i bagnanti erano terrorizzati.
Racconta tutto entusiasta che durante le esercitazioni di prova, sparirono due obici di salve provati ormai vuoti, e che nessuno li ritrovò mai più : "mezza Roma venne giù a fare una verifica ispettiva". 
Giacevano in un punto preciso del porto di Castellammare, e che furono recuperati naturalmente, da chi ce li aveva poggiati...
I suoi racconti stanano a conti rapidi fatti, l'incosciente ragazzo che era allora: aveva 16 anni e lavorava 14 ore, per cui quel varo, fu un gioco incosciente ed eccitante. Faceva il saldatore, la maschera tra le ginocchia e la sigaretta in bocca eternamente; i fazzoletti di cotone in cui soffiava il naso, diventavano neri. Ovviamente Salvatore ha avuto un tumore alle corde vocali: amianto. 
Tutta la nave è piena di amianto, la ragione principale per cui oggi per farne museo o affondarla si dovrebbe bonificare. Lui comunque ce l'ha fatta, forse perchè la passione per le bombe e la pesca di frodo, gli ha dato sempre quella "verve" che gli ha permesso di sopravvivere anche alla caccia alle mine a cui si dedicava a tempo perso col fratello per recuperare la polvere pirica e il tritolo di cui il Golfo, dopo la seconda guerra mondiale, era miniera: "Signò, la vita è  'n'episodio".
E'un pezzo di storia italica Salvatore e oggi fa anche il "cozzecaro" e ha la concessione di un pezzetto di mare. Racconta della nonna che frullava il pesce crudo con cui li ha cresciuti tutti e parla di una Stabia che non c'è più e del tempo che ci vuole d'inverno a far prendere aria alle cozze per evitare i denti di cane sulle valve. 
Alcuna condanna morale alla sua vita di eccessi e illegalità: Salvatore è un buon nonno ora, in balia della sua piccola nipote, è un figlio della sua epoca, e un pezzo da novanta d'artiglieria come la Vittorio Veneto. Ha imparato a cucire, e da qualche parola si capisce che in galera c'è stato, magari per sbaglio. Ha qualcosa di glorioso e di  proibito, tenuto insieme dalla sapienza del mare, oppure è il filo di quelle cozze "mbuttunate" nella salsa che solo la mamma riusciva a fargli di mattina alle cinque: "Ma come faceva mammà a tenerle insieme quelle cozzeche?"
Come ogni uomo di mare che si rispetti, Salvatore ne conosce i segreti e quando il maestrale si alza improvviso in un punto precisio del golfo,  allora è tempo di uscire in mare; e rimane incantanto e indignato a raccontarti di come l'orata succhia la cozza spaccandone il guscio e quindi, bisogna lottarci contro, sennò addio lavoro.
Io penso sorridendo tra me a Lucius Sergio Orata, che le orate pare le adorasse: quell'ingegnere romano del I secolo avanti Cristo che dall'altro lato del golfo, a Baia, inventò le terme e la pescicoltura.
Forse per capire questa Italia di compromessi dovremmo partire da qui, da questi racconti di vita reale, non edulcorata: dalla piccola storia che è passata sulla pelle degli Italiani.
C'è una bottiglia di Acetosella sulla sedia, l'acqua bella di Castellammare, e un pò di pane. Le alici fritte erano spettacolari, il vinello passabile, l'impepata di cozze superba.
Salvatore si odora un braccio, lo lecca, ci guarda e ride: "è sale, 'so tutt' spugnat 'e sale".





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