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Visualizzazione dei post da settembre, 2013

La bellezza sprecata del paesaggio (sta dentro di noi)

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Mutuo il concetto dall'amico Franco Arminio: esiste una bellezza sprecata del paesaggio, anche urbana -benchè lui si riferisca alla splendida Irpinia-  che l'allucinazione e il disamore per noi stessi, ci ha annientato alla vista. E' solo il segno della nostra identità perduta, prima dentro, eppoi anche fuori. Ovviamente questo disamore è più in generale italiano, ma a Napoli è visibile fisicamente nelle persone e nel rapporto che esse hanno con la metropoli in cui sono nati e vivono. L’avidità scellerata della mani sulla città, dei progetti della politica dei bacini di voto -penso ai disastri dell’Italsider in cui meno di una generazione ha lavorato per una apocalissi ambientale che ne ha annientate almeno due- l’abbaglio del facile arricchimento, della corsa al consumo di suolo, persone, cose...tutte cause nefaste della irresponsabilità, in cui il conto da pagare veniva posticipato ai figli e ai nipoti. In questa folle corsa degli ultimi cinquanta anni, la bellezza è

Quattro Giornate di consapevolezza (le discariche abusive della coscienza)

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Le Quattro Giornate, di Nanni Loy A che serve la storia se non insegna a leggere il presente? Tra il 27 e il 30 agosto 1943 i Napoletani stanchi della città devastata dalle bombe, delle morti atroci e dei martirii di uomini e ragazzi che si volevano rastrellare, non ne poterono più. Si alzarono vicolo per vicolo, strada per strada, quartiere per quartiere e dalla masseria del Pagliarone, vicino lo Stadio Collana dove si rischiava un eccidio, dimostrarono che senza organizzazione, ma con la determinazione di ogni singolo cittadino, poteva mettere un punto alla distruzione. Così Napoli senza testa e senza coda, si armò di qualunque cosa: alzò barricate che la sua memoria storica non aveva dimenticato, i bambini incoscientemente vennero armati o si armarono, e ci fu un caos buono. Maddalena Cerasuolo portava le staffette e gridava alla Sanità, e in ogni parte della città , ciascuno il suo, chi una lastra di marmo lanciata dall’alto, chi da una barricata diceva un salmo, chi lanciava

Colazione da Sisifo

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di Sam3, 2009 http://imageshack.us/photo/my-images/406/43sisifo.jpg/ Sono esattamente del parere opposto di Albert Camus: la bellezza fa rivoluzione ogni giorno, anzi ogni istante. Persino in un dettaglio che diventa chiodo fisso, ossessione. ( "La bellezza, senza dubbio, non fa le rivoluzioni. Ma viene un giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno di lei" -Albert Camus, L'uomo in rivolta, 1951). Sono sicura: le parole non mentono la bellezza -quando il loro potere è intatto. Ma tra la parola e l'azione deve esserci un filo, un respiro di cosa materiale: la parola della poesia che è arte del fare intercetta il mondo intorno e lo rende plasmabile alle nostre ragioni. Plasmabile come un macigno che fa una montagna che rotola in basso. Questo potere di costruzione del presente appartiene a tutti, o almeno a tutti quelli che lo vogliono esercitare: è il potere del fabbro che forgia il proprio destino o della consapevolezza. E' il potere di Sisifo. R

Una noce non fa rumore, ma un sacco intero può (Sant’Agostino degli Scalzi)

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Napoletani Noci di buona volontà Una chiesa che rischia di chiudere per sempre è quasi la normalità a Napoli: delle 600 presenti in città solo 200 sono visitabili. Un rapporto uno a tre di perdita di capolavori, restauri mai iniziati e oblio come una spada di Damocle piantata già sulla testa. E non è tanto l’iniziativa di ieri 7 settembre con l’apertura straordinaria di Sant’Agostino a dover esser rammentata, ma la possibilità che tutti i partecipanti siano da buon esempio per i concittadini: “mi appartiene”, anche se sono di altri rioni o quartieri, essi ci dicono con la loro muta presenza. E’ questo sacco di noci che ottiene un articolo sul Mattino del giorno dopo, un video web, un blog, innumerevoli fotografie del complesso e dei singoli capolavori che ci deve far riflettere: è l’identità napoletana vera che striscia con forza sotto queste azioni e lavora sedimentando piano...questo ci deve colpire davvero. Ci sono centinaia di chiese, strade, piazze, vicoli, e soprattutto

I beni culturali di Napoli per futuro.Magari...

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C’è un pessimismo cosmico in alcune pubblicazioni partenopee da scoraggiare qualsiasi lettore. Eppure a leggere il titolo questo libro sembrerebbe dire il contrario “I beni culturali per il futuro di Napoli”: l’auspicio forse che i grandi nomi che vi compaiono (Gambardella e Spinosa tra gli altri) tentavano di lanciare come uno scongiuro. Non sono passati moltissimi anni dalla sua pubblicazione (1990) diciamo però una intera epoca, nella accelerazione dei tempi contemporanei e il testamento visivo delle architetture firmato da Mimmo Jodice, fa davvero impressione. Il muro di mattoni posto da Spinosa innanzi alla Cappella Pappacoda, allora restaurata ma priva di difese, oggi non c’è più, sebbene siamo lontani dalla valorizzazione del luogo e della piazza (vedi il recente taglio del centenario cedro del Libano). E molti complessi, come il chiostro dei Santi Festo e Marcellino oggi sono aperti al pubblico, o, il bel Monacone alla Sanità e il relativo campanile di Frà Nuvolo restaurato

Il Cielo sopra Napoli. Senza tema di ritorno.

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Non mi ritengo una fotografa, mi spiacciono le definizioni. Restano pur sempre suntive. Utili, ma suntive. E penso che nell'epoca della riproducibilità massima dell'immagine,annunciata da Barthes in tempi ancora sospetti ma non acclarati, possiamo solo allenarci alla vista interiore:  tutti possono far foto, ma cosa si vede dopo che si è guardato, quello no, non lo si può contraffare. -Shot a picture, direbbe Wenders.  Sparate un'immagine fuori che sia uguale a ciò che siete dentro.  Ci vorrebbe un allenamento serio all'immagine, una educazione visiva, come si chiamava ai tempi miei -e nemmeno troppi fa- una materia a scuola. Si leggeva una immagine, ci si rifletteva sopra, si guardavano le linee e si disegnavano le forze visive delle linee. Il tempo nell'immagine è tutto, aldilà dei tecnicismi che a meno che non si scelga una professione, restano piccoli segreti dell'anima. E per l'anima ci vuole allenamento: chi tanto osserva,

Impossibile di stasi (Ederlezi a Napoli)

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Non è possibile che Napoli sia immobile. Non è nella sua indole irrequieta, ma qualche volta può apparire più ferma del mare in bonaccia, quando è liscio come un olio e la luce acceca di riverbero. Succede più o meno quando in un vicolo, o sotto un portico come mi è capitato di vedere, per una specie di accordo sotterraneo, le persone decidono di riflettere insieme senza dirselo, forse sui propri guai. Allora tu vedi sguardi che si perdono senza tempo, corrucciamenti e linee di visi che cercano di aggrapparsi attorno, ai muri scrostati millenari -sarà per questo che Napoli ha l’aria di eterna consunzione? Questa aria di afflizione ti dà il tempo di scattare un dagherrotipo mentale che è l’antenato della fotografia: ci vuole una lastra di rame interiore pronta, uno strato d’argento che si applica per elettrolisi -e quindi una vostra personale energia- una luce ai vapori di iodio che non è facile da cogliere, e un’esposizione lunghissima; almeno dieci-quindici minuti per fissare l’imm

Il semplice stare del tempo a Napoli (S.Giovanni a Carbonara)

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Per chi non conosca Napoli, faticherà comunque ben poco a riconoscerla da questa prospettiva. Dalle scale di San Giovanni a Carbonara, Napoli può diventare familiare come la vista della casa materna o della nonna la domenica di pranzo familiare. Lo scalone sanfeliciano a doppia clessidra, come uno strano e aggraziato uccello con due paia d'ali, ha tre piani di riposo: tre prospettive di fiato e di ascesa alla collina che un tempo fu la discarica della città: ad carbonetum. Un fiato, uno sguardo e la ripresa a salire per ogni gradino di piperno nero, fermato dall'ocra perennemente scolorito dei bassi muretti laterali: essi non sono parapetti, nè corrimano. Sono come i punti che delimitano un segmento, l’alfa e l’omega del gradino; i limiti in cui l’occhio si arresta ad ogni pedata. Quello che si vede da San Giovanni a Carbonara va contenuto e decantato.Trattenuto un poco in mente; possiamo dire che abbisogna di dighe e chiuse, quello che si può vedere da ogni gradino di piperno.