Il Cielo sopra Napoli. Senza tema di ritorno.

Non mi ritengo una fotografa, mi spiacciono le definizioni. Restano pur sempre suntive.
Utili, ma suntive.
E penso che nell'epoca della riproducibilità massima dell'immagine,annunciata da Barthes in tempi ancora sospetti ma non acclarati, possiamo solo allenarci alla vista interiore:  tutti possono far foto, ma cosa si vede dopo che si è guardato, quello no, non lo si può contraffare.
-Shot a picture, direbbe Wenders. 
Sparate un'immagine fuori che sia uguale a ciò che siete dentro. 

Ci vorrebbe un allenamento serio all'immagine, una educazione visiva, come si chiamava ai tempi miei -e nemmeno troppi fa- una materia a scuola.
Si leggeva una immagine, ci si rifletteva sopra, si guardavano le linee e si disegnavano le forze visive delle linee. Il tempo nell'immagine è tutto, aldilà dei tecnicismi che a meno che non si scelga una professione, restano piccoli segreti dell'anima.
E per l'anima ci vuole allenamento: chi tanto osserva, non è detto che veda. Diceva Leonardo da Vinci.
www.lorenzolotto.info
Leggo il moltiplicarsi di concorsi, esposizioni,workshop, corsi e ricorsi di fotografia; segno che a tutti ci interessa questo preponderare dell'immagine. Ma,per una peripatetica come me, l'immagine si forma dentro prima di fermarla; qualche volta, e mi capita spesso a Napoli, mi ci vuole una speciale predisposizione interiore. Altrimenti tutto mi sfugge.
Non c'è eccezionalità di una foto che non rammenti chi la spara: il fucile da cui è partito il colpo, come scrive il regista de "Il cielo sopra Berlino".
E questo converrete, non si può insegnare.
L'aspetto psicologico della visione, così indagato dalla pubblicità; le leve dell'immagine, sono un esercizio senza tempo e fine. Dalle grotte di Lascaux, alle immagini quotidiane.Io penso che Napoli conti il più alto numero di fotografi sulla terra: ecco perchè da questo immenso tessuto connettivo, come scrive Ranuccio Bianchi Bandinelli, possano nascere gli artisti della fotografia. Quelli veri, quelli internazionale. Sono loro gli artigiani veri di quello che hanno dentro e negli occhi.
Io mi sento per conto mio, un umile occhio della mia interiorità che va passando d'alambicchi, nella bottega chimica più importante della terra: Napoli.
Questa città mi obbliga ad un esercizio visivo che discrimina il brutto a favore del bello, il buono a favore del cattivo: l'anima greca della città.
Per cui non posso che felicitarmi degli altri tessuti connettivi di questo immenso corpo, perchè essi mi forniscono riflessioni e visioni che non avrei. 
Il tutto, dovrebbe portarci a non desiderare un unico occhio, l'occhio per antonomasia. Eppure Napoli, per come è, si presta ad un occhio egotico: cerca l'attimo fuggente il fotografo di Napoli. Il paesaggio dei paesaggi di questa città invisibile.
Ricerca vana. Sparate pure un colpo, apprenderete di Napoli una immagine temporanea, la fermerete un attimo, come voi mille. Eppure di queste immagini belle e non lamentevoli, Napoli ha più bisogno di qualunque città sulla terra.
Se vedeste una Sirena, anche senza appellarvi fotografi, vorreste fissare la sua immagine; e come Ulisse passare oltre, senza tema di ritorno.  

Commenti

Post popolari in questo blog

I capolavori di Caravaggio per una passeggiata romana

Cento anni di dolce Remy a Napoli, capitale del gelato

Il mercato ittico di Luigi Cosenza capolavoro dell’arte è in vendita