Quattro Giornate di consapevolezza (le discariche abusive della coscienza)

Le Quattro Giornate, di Nanni Loy
A che serve la storia se non insegna a leggere il presente?
Tra il 27 e il 30 agosto 1943 i Napoletani stanchi della città devastata dalle bombe, delle morti atroci e dei martirii di uomini e ragazzi che si volevano rastrellare, non ne poterono più. Si alzarono vicolo per vicolo, strada per strada, quartiere per quartiere e dalla masseria del Pagliarone, vicino lo Stadio Collana dove si rischiava un eccidio, dimostrarono che senza organizzazione, ma con la determinazione di ogni singolo cittadino, poteva mettere un punto alla distruzione.
Così Napoli senza testa e senza coda, si armò di qualunque cosa: alzò barricate che la sua memoria storica non aveva dimenticato, i bambini incoscientemente vennero armati o si armarono, e ci fu un caos buono. Maddalena Cerasuolo portava le staffette e gridava alla Sanità, e in ogni parte della città , ciascuno il suo, chi una lastra di marmo lanciata dall’alto, chi da una barricata diceva un salmo, chi lanciava la sua piccola intifada di basalto divelto da terra -tutti, uno nessuno e centomila- e l’esercito invasore fu cacciato.
Medaglia d’oro alla città e ai suoi cittadini, nel 1944 il Vesuvio dette segno che anche lui non ne poteva più, e così fu la storia che oggi giova ricordare.
La guerra oggi non c’è, o almeno così sembra: i tempi moderni l’hanno fatta diventare una guerra della distruzione del singolo. Il libero mercato, l’avidità non fanno forse morti? Apparentemente nessuno uccide nessuno; ma questo è solo un apparente passaggio come la guerra omerica risolveva uno ad uno, eroe contro eroe, le sue dispute. Poi ci furono gli eserciti: oggi le guerre si sono spostate dove è più comodo farle.nei paesi che guardacaso, sono sempre degli altri.
A noi restano guerre più subdole, perchè non sanguinano nè menano bombe dal cielo, ma non solo non sono meno cruente, ma fatichiamo da orbi a riconoscerle.
Sono le bombe messe sottoterra dalla camorra, sono i roghi della “terra dei fuochi”, sono le complicità di politici, industriali, contadini, interi comuni e comune gente che ha taciuto, e che si è arricchita, o forse ha solo sopravvissuto a quella guerra silente che l’avidità della ricchezza ha innescato.
Comunque sia, per chi pensasse al proprio piccolo orticello, sappia che sotto può esserci un bidone che viene da Nord, ma anche da Sud: la nostra terra è inquinata dalle discariche della coscienza collettiva.
Persino abusive sono quelle discariche della coscienza: sotto terra sono finiti i nostri disastri di paese avanzato; un paese talmente avanzato che si è tirato con la zappa sui piedi anche i fanghi tossici, le radioattività, l’aria compromessa.
E ci siamo cresciuti tutti in questa guerra civile, tutti abbiamo mangiato qualcosa da questa terra amara bombardata da sotto. Tutti siamo complici di questa mafia perchè non ci alziamo e facciamo qualcosa, fosse anche un gesto di pietà verso queste martoriate terre: da noi, martoriate, non da nemici esteri.
E’ cosa buona e giusta non pensare ai mea culpa, me ne rendo conto. Ma cosa scuote le nostre coscienze ottuse da discorsi inumani, senza compassione, senza partecipazione, senza infamia nè lode, di Ponzii dalle mani manco tanto pulite?
Ci vorrebbero ancora Quattro Giornate di coscienza, che smuovessero ciascuno in ogni piccolo e grande quartiere: un’azione semplice, non tanto. Rimproverare qualcuno che butta la carta, pulire quell’angolo dove lo spazzino non ci passa, fare attenzione se parcheggiamo sulle strisce pedonali o sugli spazi dei disabili, e così via.
Iniziare a pretendere che ognuno faccia il proprio dovere, facendo anzitutto il proprio.
Una piccola rivoluzione che ci faccia sentire meno soli, sapendo che quello accanto sta facendo la stessa cosa, e non la solita rassegnazione: la speranza si costruisce facendo.Sperare vuol dire puntare verso una meta.
Quelle persone delle Quattro Giornate, quei gloriosi cittadini ebbero una meta comune: si dissero ora basta, e lo dissero insieme. Lasciateci a casa, andate via, alla vostra: e insieme sconfissero un esercito in vantaggio su tutto. Così dovremmo imparare ad essere popolo, da quelle persone comuni disperate che si guardarono in fretta, senza nemmeno parlare, in una Napoli solitamente chiassosa, e senza accordo e un pò allo sbando, a pariglia sparsa, capirono che insieme avrebbero potuto farcela e si fecero coraggio.
Loro sono l’esempio da seguire. Riprendiamoci la nostra coscienza, e la nostra terra avvelenata, riprendiamoci la storia e facciamocene protagonisti, come abbiamo dimostrato in periodi difficili.Non meno di questi.


Commenti

Post popolari in questo blog

I capolavori di Caravaggio per una passeggiata romana

Cento anni di dolce Remy a Napoli, capitale del gelato

Il mercato ittico di Luigi Cosenza capolavoro dell’arte è in vendita