Colazione da Sisifo

di Sam3, 2009 http://imageshack.us/photo/my-images/406/43sisifo.jpg/
Sono esattamente del parere opposto di Albert Camus: la bellezza fa rivoluzione ogni giorno, anzi ogni istante. Persino in un dettaglio che diventa chiodo fisso, ossessione.
("La bellezza, senza dubbio, non fa le rivoluzioni. Ma viene un giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno di lei" -Albert Camus, L'uomo in rivolta, 1951).
Sono sicura: le parole non mentono la bellezza -quando il loro potere è intatto.
Ma tra la parola e l'azione deve esserci un filo, un respiro di cosa materiale: la parola della poesia che è arte del fare intercetta il mondo intorno e lo rende plasmabile alle nostre ragioni. Plasmabile come un macigno che fa una montagna che rotola in basso.
Questo potere di costruzione del presente appartiene a tutti, o almeno a tutti quelli che lo vogliono esercitare: è il potere del fabbro che forgia il proprio destino o della consapevolezza.
E' il potere di Sisifo.
Rimettere il destino nelle mani di uno o più divinità non serve a molto: solo a perdere potere, che verrà raccolto da preti, o laici o politici. Fedi anche queste, ma della altrui volontà.
Seppoi la filosofia serva come dice Camus a rispondere ad un unico problema -la decisione della sopravvivenza- forse si: tutto ciò che facciamo, la cultura in genere negli atti materiali e mentali, non è forse opera della vita, della materia (sebbene inafferabile del pensiero) contro la stasi?
Immaginarla come una fatica allora è facile; la stasi è immobile:  "istemi" in greco (= io sto, io mi fermo), a cui tolto il pronome mi, resta ben poco non a caso.
Heraion del Sele: Sisifo e il suo daimon
Tutto in eterna trasformazione, con una fatica quotidiana che Sisifo rammenta: il suo daimon, il demone di se stesso, è sull'iconografia della metopa dell'Heraion del Sele, gli pesa sui polpacci e lo aggrappa dalle spalle.
Il masso eterno è più pesante con la cosapevolezza del suo peso di ogni giorno:
la condizione umana sua gli rammenta.
E Nessuno elude questa umana sua condizione, caro Sisisfo, tu che volesti tentare d'ingannare l'umana sorte della fine: della stasi.
 E più della roccia in cima ad un monte non ti fu dato da portare in eterno, a noi di rotolare pensieri a te appresso.
Ma almeno fu tondo davvero quel sasso?
La mia è una riflessione breve stamane; sulla fatica di vivere e sulla scelta di vivere in fatica quotidiana:  bisogna immaginare Sisisfo felice.
« Lascio Sisifo ai piedi della montagna! Si ritrova sempre il proprio fardello. Ma Sisifo insegna la fedeltà superiore che nega gli dèi e solleva i macigni. Anch'egli giudica che tutto sia bene. Questo universo, ormai senza padrone, non gli appare sterile né futile. Ogni granello di quella pietra, ogni bagliore minerale di quella montagna, ammantata di notte, formano, da soli, un mondo. Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice. » 
 (Il mito di Sisifo, A.Camus, 1947 p.121)


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