I beni culturali di Napoli per futuro.Magari...

C’è un pessimismo cosmico in alcune pubblicazioni partenopee da scoraggiare qualsiasi lettore.
Eppure a leggere il titolo questo libro sembrerebbe dire il contrario “I beni culturali per il futuro di Napoli”: l’auspicio forse che i grandi nomi che vi compaiono (Gambardella e Spinosa tra gli altri) tentavano di lanciare come uno scongiuro.
Non sono passati moltissimi anni dalla sua pubblicazione (1990) diciamo però una intera epoca, nella accelerazione dei tempi contemporanei e il testamento visivo delle architetture firmato da Mimmo Jodice, fa davvero impressione.
Il muro di mattoni posto da Spinosa innanzi alla Cappella Pappacoda, allora restaurata ma priva di difese, oggi non c’è più, sebbene siamo lontani dalla valorizzazione del luogo e della piazza (vedi il recente taglio del centenario cedro del Libano). E molti complessi, come il chiostro dei Santi Festo e Marcellino oggi sono aperti al pubblico, o, il bel Monacone alla Sanità e il relativo campanile di Frà Nuvolo restaurato da pochissimo, appena qualche mese, brillano di bellezza restituiti alla città.
Restano ferite insanabili: il Real Albergo dei Poveri, che dalle foto sembra uscito da un bombardamento senza guerra, e sta ancora mezzo di là e di qua, al suo purgatorio.
Belli i saggi contenuti, con una sintesi mirabile dell’architettura napoletana e delle sue tendenze nel corso della storia, e le sintesi, non sono mai facili.
Testi come questo, fanno rimpiangere i fondi con cui si stampavano libri anche per la visita in città del papa -così come dice l’intestazione interna.
Qualunque fosse la politica, almeno lasciava tracce da parte degli studiosi, gli unici che potevano accedere alla scrittura di simili compendi, denunciando in parte già una crisi all’interno della produzione scientifica delle università. 
Comunque sia, nell’auspicio sgonfio del titolo, più un disperato grido che torna nei vari articoli sul degrado inarrestabile del centro storico-antico di Napoli, la sintesi visiva oggi è davvero un documento di grandissimo interesse.
Tra le mille foto ho scelto quella del chiostro degli Aranci dei Girolamini, che quest’anno, nonostante le brutte vicende della biblioteca Nome della Rosa, è stato aperto fino a tarda ora per la notte dei Musei. La presenza record dei visitatori, tra gli ottocento e i mille con il Museo del Tesoro di San Gennaro -con cui mi fregio di collaborare- e il complesso della biblioteca vichiana, testimonia la grande voglia di riscoperta del nostro immenso patrimonio.
Ma anche un’epoca nuova, in cui tutte le forme che sapevamo della conoscenza e della sua diffusione si stanno rimodulando, in cui è possibile apprendere notizie da molteplici fonti e non solo da quelle ufficiali.
 Il lavoro che apparteneva alle categorie degli studiosi, dei giornalisti, oggi appartiene alla gente comune tra cui mi annovero; magari titolata, magari free, in ogni senso.
Magari, è anche quello che sembra di leggere come sottotitolo al citato catalogo “Electa Napoli”.

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