Una Cronaca di 1134 anni fa e le regole del caos.



  • Di questo strano periodo che viviamo mi colpisce l'immane caos, dato perlopiù da chiacchiericcio sociale, quella superficiale tendenza alla informazione barbara di superficie che non analizza, distrae e aumenta il polverone. Per cui decido di staccare da Napoli e di fuggire verso l’Abbazia di San Vincenzo al Volturno, o meglio tra le sue rovine, dove l’Enel da qualche mese ha deciso di mettere mano ai suoi impianti e con interventi discutibili all’altezza dell’antico complesso monastico, ha incaprettato il Volturno dentro al cemento compresso. Ricorre domenica 10 ottobre, l’anniversario di quella strage di monaci e dell’incendio saraceno che distrusse l’antica abbazia nell’881 d.C. : “e subito dopo le fiamme del fuoco fecero rosseggiare perfino le alte stelle” (Chronicon Volturense).Degli oltre 300 monaci che vivevano nella cittadella monastica, molti furono trucidati, altri furono fatti prigionieri, e alcuni scapparono a Capua, ma ci misero oltre 30 anni per tornare nel sacro luogo e l’abbazia quasi 250 anni a risorgere. Così ieri, per rubare silenzio, come quello benedettino di Madre Miriam che è lì nel ricostruito e sopravvissuto monastero, e che non ha voluto riceverci -perchè giustamente non preavvisata- rispondendo al citofono col suo accento americano di cortesia e con una lentezza sconosciuta al mio parlare,  io mi sono ritrovata tra la selva di colonne romane abbandonate davanti all’Abbazia, dove a piccoli gruppetti sparsi, fioriscono violacei mazzetti di autunnali ciclamini selvatici.Veramente mi ci sono proprio persa sopra le colonne, perchè mi colpiva quell’opera di ingegno umano piombata là a terra, scaraventata da un’altra epoca lontana, dove gli edifici stavano coi paesaggi senza offenderli. Ore di cavatura, scalpellini, progetti, mastri, e glorie di edifici, stavano a terra ai miei piedi. Il cielo plumbeo, il fiume il cui suono si intuisce lento qualche centinaio di metri più in là, le pietre millenarie degli archi poco più innanzi: quell’unica fila di calcare squadrato da monaci che regge a dispetto del tempo, con la quinta delle montagne incantate dove si arrestano le nuvole che non si tramutano in acqua. Tutto questo tempo rubato al caos dei nostri giorni, dove l’attenzione per la cultura è inesistente, dove fare una passeggiata è disarmante, dove ascoltare le storie antiche che le pietre suggeriscono è quasi un atto magico. Dove aprire l’anima al racconto di antichi libri, e portarseli appresso per leggerli dove furono scritti, e trovare dove il Volturno nasce, nei pressi dell’Abbazia, trai rami di calcare travertinoide, ovvero quel corallo che il fiume lento ha sedimentato con millenni.Italo Calvino nella sua lezione sulla Leggerezza parlò di Perseo, dal cui taglio della testa della Medusa sprizzò sangue che si trasformò in corallo: lui alato e leggero, veloce e aiutato dall’astuta Atena e da Mercurio. Ecco, mi sono chiesta, forse il sangue dei monaci toccando il fiume, divenne quel corallo vegetale, che il Volturno ha sparso con un ordine cosmico a noi ignoto e che una passeggiata autunnale può solo suggerire di ascoltare, come la fuggevole traccia alata: una piccola folata che il calzare di Perseo dovette lasciare mentre volava via dalla sua grande impresa.

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