Di Mater in Mater : la materia nera e potente della vita (Giovanni Izzo a Capua)


Nel 1845 Carlo Patturelli durante lavori edilizi rinveniva un antico santuario appena fuori le mura a Capua: tutto fu interrato immediatamente o peggio, in parte distrutto per la paura di perdere  terreni. Una storia tragica di avidità collettiva che segnerà ripetutramente e non solo a Capua, l’incapacità del cittadino italiano di comprendere la sua millenaria storia... Fatto sta che nel 1873 la fame antiquaria, suggerì al Patturelli di riprendere la ricerca questa volta per vendere i pezzi migliori: e così le Madri vendute finirono a Copenhagen, Berlino, Villa Giulia, Napoli e Santa Maria Capua Vetere. Nulla di nuovo sotto il sole: tutta l’Europa e l’America e il collezionismo privato, veniva a rifornirsi da noi, e noi ci lasciavamo spolpare per trenta denari. Dopo un secolo di oblio sulla cosa, la cui nota positiva è che il nome di Capua e delle sue madri è conosciuto in tutto il mondo,  nel 1995 finalmente, si riprese l’indagine di un contesto fortemente sconvolto dagli avvenimenti narrati, fino a comprendere che attorno all’antico santuario, c’era una necropoli. Vita, morte e fertilità, comunque si interpreti il luogo, erano indissolubilmente legate attorno a una sorta di Demetra locale; una iovila, ovvero una stele in lingua osca, ci rammenta che il luogo era circondato da un bosco sacro: dal VI secolo a.C al I a.C.,  con tanto di altare a dodici gradini e dovette essere un luogo importante. Oltre 160 matres sono state rinvenute nel fondo Patturelli, scolpite nel grigio tufo del monte Tifata, un tufo nero rispetto al giallo napoletano, e le madri Capuane tengono strette sino a 12 bambini sul loro grembo, ed anzi, li espongono fasciati alla vista dell’osservante. Probabilmente collocate ai lati dei muri del santuario, le madri raffigurano una scena ripetuta, standardizzata e rituale, dunque sacra, di kourotrophìa, ovvero di cura dei figli, e certamente un riferimento allo stadio di puerperio.
Aldilà dell’interpretazione strettamente archeologica, il santuario del fondo Patturelli dovette essere un culto locale fortemente indirizzato da una iconografia di notevole successo tra gli abitanti dell’area, che potrebbe essere anche più vasta della sola antica città: una terra fertile come la Campania, poteva ispirare una simile tradizione, considerando che per l’antichità del santuario, i modelli iconografici fanno riferimento non solo alle terracotte architttoniche da Cuma , ma anche a segni strettamente etruschi e magnogreci.
Un crocevia visivo quello di queste madri, in cui artigiani di diverse mani e a capacità, nonchè generazioni, tentarono di fermare il motivo del culto: siano esse divinità che accolgono disgrazie, o ringrazino la prolificità, dunque probabili ex-voto, o nascondano altre possibilità interpretative, le Matres di Capua restano uno degli episodi scultorei più interessanti della cultura della penisola italiana (un pò di anni orsono grande bellezza destò l’esposizione delle Madri all’interno del Madre di arte contemporanea a Napoli).
E veniamo alla contemporaneità: il nuovo allestimento del Museo Provinciale Campano di Capua, ha reso omaggio al contesto unico delle Madri, sebbene sia scarno di interpretazioni e spiegazioni/ipotesi circa l’intero contesto o anche di mezzi più accattivanti per solleticare, o meglio evocare, l’importanza del contesto; il bel ballatoio-santuario che vuole ricostruire il complesso, resta vuoto delle terracotte e di ipotesi realistiche che meglio aiuterebbero a comprendere l’unicità dei reperti e della loro storia.
Ma comunque, questo di Capua resta un allestimento architettonico speciale che la mostra fotografica di Giovanni Izzo “Matres le donne dell’esodo” scaraventa violentemente nell’attualità.
Le madri nere, come nero è il tufo del monte Tifata, Giovanni le ha incontrate sulle case della Domiziana, dove l’esodo si è spostato: non lontano da Capua, da questo crocevia antico, dove la terra era l’unica risorsa per le genti che vi si insediavano in antico. Una terra di mescolanze etrusche e magno-greche alle locali, un’amalgama di cerniera storica unica dove le conoscenze si legavano ai popoli che passavano o decidevano di stabilirsi qui.
Le donne nere, le madri alter-capuane allattano, kurotrofe anch’esse; madri che vivono nell’ombra e ci si confondono, sopravvivono in una disperazione che abbiamo rimosso dalla coscienza ma che parla chiaro, di vita alla vita: è singolare come i primi piani di Giovanni Izzo portino all’occhio le teste di madri e figli, proprio quelle teste che mancano alle mater capuane antiche, molto spesso acefale. Quasi, danno loro un volto, fondendosi e ricostruendo una “solita” storia millenaria di emigrazioni e tentativi di tessuti e trame sociali.
Nell’opera nera su nero di Giovanni, emerge una denuncia rarefatta, poetica, in cui l’elemento tragico quasi scompare per fare spazio all’emergere dal fondo della vita e della volontà disperata di queste madri di prendersi cura dei loro figli nati in terra straniera. Molte altre potrebbero essere le riflessioni di questa mostra, appena accennate alla conferenza di presentazione (presente l’ex-ministro Bray) la cui nota positiva saliente è quella di aver suggerito una mostra permanente delle opere di Giovanni Izzo. Non ultima la doverosa citazione della collaborazione di Giovanni con le giovani donne di CaserTerrae, che molto defilatamente si sono sedute tra il pubblico, fuori dal corteo cerimoniale. L’aspetto sociale di questa mostra, la sua potenza visiva, dove l’allestimento curato personalmente da Giovanni, non invade mai volutamente lo spazio visivo delle madri, ed anzi , quasi si trova in disparte e in soggezione, velatamente rammenta che difronte all’arte eterna, i tentativi contemporanei possono e devono chinare la testa, ma non per mancanza di contenuto, ma piuttosto come doveroso omaggio.
E’ una di quelle mostre che ha dell’eccezionale, e che merita non solo una visita, ma anche una giornata intera alla splendida Capua e al suo museo nel bel palazzo rinascimentale della famiglia Antignano.  Grazie alla collaborazione della attivissime giovani donne dell’associazione CaserTerrae e del Museo Provinciale Campano, così fortemente legate al loro territorio, e all’architetto Marinella Giuliano che ha immediatamente accolto il mio entusiasmo sposandolo col proprio, Focus-Art Napoli ha la possibilità di mostrare una delle iniziative più violentemente poetiche della Campania: di mater in mater, la materia della vita millenaria nella splendida Campania Felix.

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