La terra del Vesuvio nel sangue, come vino (tenuta Sorrentino)


L’inizio dei vini Sorrentino parte con Benigna di Terzigno, che aveva maledetto la terra avendone dovuta lavorare tanta, troppa: Benigna la mamma di Paolo Sorrentino, l’attuale titolare, voleva sposarsi un metalmeccanico per non pensare più alla terra e alle sue fatiche e così fece.Voleva stare tranquilla e siccome a 18-20 anni la schiena se l’era spaccata ben bene, aveva detto basta con la terra. A un certo punto però, un piccolo pezzettino di terra che Benigna ha in famiglia, quel pezzo primitivo dell’attuale tenuta, lo vede in balia di amministratori avidi e non ce la fa più: si rimette a lavorare la terra. Più o meno intorno agli anni ‘70, Benigna si riprende altra terra e la sua radice e il resto è una storia di un figlio, Paolo Sorrentino, che raccoglie l’amore della mamma e lo prosegue. Questa piccola storia assomiglia alla grande storia dell’Italia, che ripudia le fatiche della terra e poi, accortamente, ci ripensa: menomale che Benigna la terra ce l’aveva nel sangue. All’inzio di questa storia campana, c’era pure un’altra azienda, la Mastroberardino di Atripalda che comprava le uve del Vesuvio e le vinificava: leader del settore e primo motore mobile della macchina del vino campana,  piano piano, con la crescita delle aziende locali, la consapevolezza, la voglia di fare, e  soprattutto dopo il 1983 e i primi riconoscimenti del marchio DOC al Lacryma Christi di queste zone, lascia spazio ad altre piccole imprese che prendono in mano la storia del loro vino. Paolo mi racconta che così è andata anche per lui, come per moltissimi produttori locali, e che dopo la ripresa di Benigna, lentamente inizia la consapevolezza di voler crescere: la Marescialla , il primo appezzamento che va ad includersi al primo moggio materno, la finiscono di piantumare l’8 marzo del 1995; così mi dice Paolo, e questa mi sembra sempre più una storia al femminile, di sangue e vino e terra mater.
Ascolto rapita:  il primo a riconoscere il potenziale di questo vino e di questa azienda che oggi è un’impresa di famiglia e dà lavoro ad almeno una ventina di persone, è Don Salvatore a Mergellina: ebbe in regalo due bottiglie, e immediatamente ne ordinò 2000, e di lì la graduale ascesa di una famiglia e di un progetto collettivo. Paolo Sorrentino faceva il bancario, ed eredita a suo tempo un pezzetto di 3 moggi (l’unità di misura partenopea) e piano piano arriva a 75, e oggi sperando, vuole proseguire questo splendido puzzle che ricostruisce un paesaggio unico al mondo: la tenuta è circondata da un migliaio di piante di ulive che frangono il vento che viene da Sud-Est e che potrebbe arrecare danno alle viti, ma che pure, in un autunno come questo, aiuta le piante a perdere le foglie per l’inizio della potatura. Maria Paola Sorrentino, la figlia giovane, mi ha accompagnata a visitare il vigneto storico di Boscotrecase, spiegandomi che la proprietà si è ingrandita pian piano, e che la parte più antica possiede viti di ben 300 anni, sopravvissute alla lava degli inizi del ‘900 e al mancato attacco della filossera della seconda metà dell‘800 che fece strage in tutta Europa, ma non qui, perchè il terreno del Vesuvio protegge le viti meglio che gli antiparassitari, e non c'è bisogno di piantare nemmeno le rose ai capi dei filari come indicatori di eventuali attacchi di parassiti. Qua la terra del Vulcano fa tutto: difronte alle viti che hanno 300 anni, non un giorno.
Piedirosso DOC di 300 anni
Mi mostra i casotti settecenteschi dei contadini, oggi intelligentemente fittati come B&B e il confine della proprietà che ormai è di 30 ettari: un pezzo grande nel Parco Nazionale del Vesuvio che fa bene al cuore a guardarlo tutto, macchia verde tra il caos dell’agglomerato urbano di cui ormai non si distingue soluzione di continuità. Più in basso si scorge bene Pompei...
Mi siedo sulla bella veranda che ha al centro un noce e mamma Angela, cucina un brodo e un polpettoncino niente male,e inizio a mangiare col resto della famiglia: Benny Sorrentino è l’enologa di famiglia, e l'altro fratello, Giuseppe, si occupa di marketing. Papà Paolo soprintende ogni cosa, burbero per finta e in tenuta agricola: la terra dà sempre da fare e poche chiacchiere. Insomma qua si fa tutto in famiglia davvero: vino per Giappone, Stati Uniti, Europa e naturalmente Italia, di cui una intera linea biologica, e prodotti agroalimentari biologici di gran qualità. Noi pranziamo intanto, e io provo il vino 100% bio  e poi mi siedo con Paolo Sorrentino, e mi faccio contare la storia; il c’era una volta che tanto mi incanta.  Di là, in cucina l’amico chef Eduardo Estatico mi prepara gli struffoli, e va a prendere davanti a  me dalle piante dell’agrumeto, limoni e arance e l’odore buono del fritto si sparge. Sulla veranda panoramica, nel vento di scirocco che inizia a soffiare, mi gusto la macchia di verde e il mare plumbeo che gira da Castellammare e si vede tutto da quissù: la grappa di Aglianico “Fior di ginestre” che ci fa compagnia è un vero fiore all’occhiello dell’azienda. Una bella storia, questa storia di famiglia-azienda, dove mille ulivi fanno la guardia alle viti per frangere i venti che spirano dal mare, e lasciando passare solo quello che serve per far cadere le foglie e ventilare l’uva, e così passa il pomeriggio e arriva la sera. Nella macchia di verde che siamo, al buio, mille luci si accendono: il caos dell’urbanizzazione senza senso è lontano. Ripasso in mente i nomi: le Benigna Mater, Marescialla, Angela, Paolo, Maria Paola, Benny, Giuseppe, Eduardo.  Ora conosco anche questa storia, dall’altro lato del Vesuvio: la vigna sta in cima a una colata piatta che assomiglia ad una lingua di terra ma che è di vulcano, una zattera uscita dal ventre della Muntagna e proprio tra due valloni: le alture del monte alle mie spalle sono solo rimbalzi di lava che nei secoli si sono rovesciati, penso a quei giganti di 300 anni che stanno per perdere le foglie.Sono un monumento, da proteggere, raccontare e visitare.

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