All'appello, Briganti dell'Accidia (chiamata all'armi !)

Questo tuo articolo sul Manifesto,  che ho desiderato e ottenuto che mi firmassi, l’ho preso come la dichiarazione di intenti di un intellettuale atipico (alla Zanzotto: “si sente la necessità”) che chiama alla mobilitazione delle idee. Non tutti i libri, hai ragione… eppure mentre penso al Manifesto dei Briganti dell’Accidia, me ne vengono in mente ossessivamente altri. Non è inutile Franco, scriverli qui, sotto quella tua firma per la “rivoluzione”: il Cristo di Eboli ha inaugurato l’antropologia italiana vera, e così Scotellaro…ma oggi penso al Brigante di Berto e a Fontamara di Silone che le maestre sagge mi facevano leggere in classe. Sono le mie terre, di una Lucania estesa fino alla Terra di Lavoro, è la mia storia interrotta dal salto dell’era della pietra, o forse meglio, era della gleba a quella della piastrella, come dici tu.
E’ l’arrivo dietro l’angolo della selva che ci auguriamo dopo l’era della betoniera: è la “sagra del futuro” a cui non possiamo mancare. Il ricongiungimento, anche letterario dei paesi… e in quella selva, dove questa sagra si svolge, il brigante che è in me, dalla terra di Frà Diavolo e Chiavone -questa è la mia terracarne- aspetta in agguato di fiera.
Rossana, Brigantessa dell'Accidia, dalla Terra di Lavoro.

Briganti d'Italia dichiaratevi


"Dentro la nostra testa non c’è più una vita pubblica e una privata. Ci possiamo svegliare alle quattro del mattino per lo stomaco che ci brucia, ma anche per le nostre difficili relazioni sentimentali e per lo sdegno di essere governati da un uomo moralmente morto, da un governo clinicamente morto. Il dopo quindici ottobre non sarà riflusso, ormai non è più possibile rifluire da nessuna parte. E non si illudano D’Alema e compagni che tanta rabbia possa rifluire in organizzazioni tecnicamente morte come i partiti. 
Ormai la battaglia è aperta ed è destinata ad infuriare, con o senza manifestazioni a Roma, con o senza i giovani senza patrie ideologiche ed emotive che hanno sequestrato il corteo degli indignati. Adesso la scena della lotta è in ogni luogo, è un corpo a corpo con noi stessi e con le persone vicine. Si tratta di un lavoro millimetrico e oceanico allo stesso tempo. Andiamo avanti ogni volta che salutiamo con clemenza. Andiamo avanti quando ascoltiamo un vecchio, andiamo avanti quando i nostri ragazzi si decidono a vivere nelle nostre case raccontandoci come si sentono, quando capiscono che siamo curiosi di sentire come stanno. Andiamo avanti quando diamo valore a un libro e non a tutti i libri, a una persona e non a tutte le persone, a una parola e non a tutte le parole.   La situazione non è più sostenibile, non solo perché non ci sono prospettive di lavoro per le nuove generazioni e perché il pianeta con questo modello economico rischia di avere non più di due secoli di vita. La situazione è insostenibile dentro la testa delle persone. L’inferno più grande è lì dentro, è nella enorme confusione che ha preso le coscienze, nella labilità e volatilità dei desideri, nell’impazienza che è diventata il vero governo delle cose. E nello scontento che domina ogni scelta. Berlusconi se fosse stato l’uomo felice che vuole farci credere di essere non avrebbe allestito il macabro rituale che sappiamo. E Bersani e compagnia non avrebbero inventato un partito a cui non crede neppure chi lo dirige, un partito che sembra una tavola senza piedi, una mensa a cui tutti vogliono mangiare senza che cucini nessuno. Per sfamare la nostra rabbia bisogna mettersi a lavorare con più lena ciascuno nei propri luoghi. Ci vuole un anticapitalismo site specific, una lotta costruita su un alfabeto locale. Ogni volta che finiamo nelle astrazioni, ogni volta che ci intestardiamo a cercare un centro e a colpirlo, ecco che la bestia sfugge, ecco che ci ritroviamo a colpire noi stessi.
Abbiate fiducia, sono morti, si tratta solo di inumarli, ma dobbiamo farlo prima dentro di noi, questo è il più grande mutamento. Una volta che abbiamo seppellito per bene nella nostra testa certe posture, certe illusioni, ecco che l’aria si fa più chiara. Il mondo che verrà sarà necessariamente anticapitalista e sarà più lieto e più giusto di questo, ma dobbiamo uccidere in noi il feticcio del guadagno e della crescita. C’è un nuovo umanesimo che tutti assieme possiamo costruire e dentro questo umanesimo arriverà anche una nuova politica, una nuova cornice. Non è il sol dell’avvenire, è una luce che c’è già oggi, basta saperla scoprire." (Franco Arminio da il Manifesto del 19/11/2011 )

Grazie a Cristina Passalacqua, Grazia Coppola e a tutti i Briganti che verranno.

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