Napoli che hai bisogno di miti (di Achille,Eracle,Ciro e Salvatore)



Napoli delle Sirene, ha sempre bisogno di eroi e di miti. 
In genere i secondi precedono i primi: Eracle nelle sue gesta è eroe ordinatore di città, e arriva dopo le sirene nel Golfo. Ma appunto, le sue sono gesta eroiche o mitiche e tendono, attraverso le sue scelte di sacrificio consapevole, a superare ostacoli che altri non possono, che ad altri sono impediti anche dal fato.  Così Paride aveva il destino segnato, e Achille pure di conseguenza: dal giorno che la madre Teti lo prese e lo immerse, eccetto il tallone, nelle acque del torrente: per papà Peleo, re dei Mirmidoni di Tessaglia, terra di confine e quasi barbara. Altrove è detto che Achille crescesse coi centauri, ed ecco perchè metà di lui e della sua rabbia, è opera di istinti più grandi, più selvaggi e ancestrali...

Nelle cronache napoletane quotidiane di questi giorni, di morti assurde di ragazzi giovani che ascendono al cielo  -come ci ricorda Menandro ( "Muor giovane colui ch'al cielo è caro")- e che incarnano nel popolino l'idea di mito, di eroe: esiste un Ciro tifoso di calcio e un Salvatore, suo malgrado spezzato dal crollo di un cornicione. L'età giovane, l'accidentalità del destino di questi ragazzi dalle morti assurde in un paese civile, non bastano a farne eroi: ma sui manifesti mortuari di entrambi, la parola compare e persino le gesta eroiche; uno avrebbe tentato di difendere il gruppo di tifosi o il pullman, e l'altro gli amici, spingendoli via dal posto preciso in cui il crollo sarebbe accaduto.

Così Salvatore o Ciro, uno morto di calcio idiota, e l'altro di incuria civile, diventano simboli collettivi di questa coscienza napoletana che non decolla, e non supera che in negativo le difficoltà della vita e dei suoi accidenti. Ragazzi e famiglie straziate da una fatalità assurda, dalle cause lontane e remote, che non vediamo più: cause lontane appunto, come le segnalazioni decennali di crolli e microcrolli della Galleria. Ma gli eroi epici, gli Eracle ed Achille, avevano già un destino di gloria, a loro resta solo la scelta di compierlo degnamente e potrebbero anche rinunciare. Così fa Achille quando per Briseide, si ritira dalla guerra nella sua capanna di pelli. In questa nostra saga del quotidiano partenopeo invece, questi presunti eroi subiscono il fato; forse riscattato da un gesto ultimo disperato, ammesso che sia vero.
Questa loro eroicità dura il tempo dei funerali e del vago ricordo: non costruisce nell'eterno come era fine del mito. Eracle ascende agli dei soddisfatto, Achille muore un miliardo di volte senza morire mai nelle pagine di Omero, la gola di Ettore la ricordiamo tutti. Essi non si e ci lasciano insoddisfatti, addolorati, impotenti: gli eroi ispirano, caricano, e persino le fatiche di Sisifo restano eterne. Pare sempre che possano cambiare idea, percorso, destino, ma non lo fanno mai.
Questi massi di realtà che ci precipano addosso, dalle cause rimosse da una coscienza collettiva addormentata, ferma, che subisce le conseguenze della sua stessa stasi, non hanno nulla di eroico od epico. Nulla da ricordare,e semmai, operano al contrario: è meglio dimenticare che si può morire per certe assurdità.Rimozione di coscienza nell'elevazione di miticità fittizie: altra causa dannosa dopotuto.
Eroi sono altri; mito è altro. In questo aspetto antropologico degenerato, Napoli che adora la produzione eroica e mitica, perchè ama la filosofia e le gesta narrate oralmente -che Napoli raramente sa scrivere-  dimentica la parte positiva e proiettiva del mito e del gesto da emulare, del sacrificio in nome di un ideale o di un destino: la molla della differenza e del cambiamento che ognuno può scegliere.
Mitopoiesi antropologica partenopea; ovvero riflessioni sulla formazione del bisogno mitico: lo scatto epico delle gesta cosapevoli, delle scelte e dell'ideale, e non gli accidenti da inedia cittadina.

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