La friggitoria è arte dei ricordi: maestro Antonio Tubelli

Con il maestro Tubelli
Incontro Antonio Tubelli, anzi il Maestro Tubelli, dopo una cena da Eccellenze Campane: praticamente il distaccamento del fritto dalla sede famosa Timpani e Tempura in centro storico che ha fatto la storia della gastronomia partenopea.
La coppoletta colorata in testa, il sorriso pronto: aveva cucinato i piatti che avevo appena finito di mangiare: il fritto perfetto, che se lo mangi con le mani -come ho gioisamente fatto- non ti sporchi.
E non è da tutti stare dietro alla cucina del proprio ristorante quando si potrebbe usare lo sguattero di turno.
Di Antonio Tubelli è stato scritto molto, ma lui mi racconta del trattato del Corrado ( Il cuoco Galante, Napoli 1773) di Antonio Latini con lo “Lo scalco alla moderna” (1692) o  di Ippolito Cavalcanti ( 1837) così,  come fossero amici stretti.
Sono i libri che gli han fatto cambiare lavoro: era un informatico già alla fine degli anni '70, un lavoro avanti per l'epoca, che scelse di trasformare rischiosamente grazie alla comprensione di sua moglie Enrica ( "le devo molto").   Cambiare lavoro: anzi, cambiare mestiere.
Nel mestiere c'è un pò d'arte e un pò di originalità che manca alla parola lavoro, o peggio, in quella tutta partenopea di fatica : e come i Greci, noi non abbiamo nella lingua napoletana la parola lavoro, ma solo 'a fatica ( 'o ponos in Greco).
...e così Antonio Tubelli, il Maestro Tubelli, si mise a studiare: coi libri e con i suoi maestri frequentò la “Taverna degli amici” di Tommaso Di Benedetto (che gli regalò il Corrado) e nel 1988 aprì "Il Pozzo", poi conobbe e lavorò sodo col Maestro Angelo Paracucchi, e infine col fratello Lucio creò l'attività indipendete.
Il successo e la ricerca di Antonio Tubelli, sono noti a tutti i cuochi e chef partenopei e soprattutto in Giappone, dove Antonio ha dei veri fan per via della tempura.
Così la conversazione continua con le sperimentazioni anni '90: i boccaccielli o il sottovuoto che in Italia e in Spagna sembrano innovare, solo riscoprendo (e comunque menomale).
Poi parliamo di cucina contemporanea: Antonio la chiama cucina pirotecnica quella che si vede in tv e nei talk show o reality : una sorta di arroganza culinaria che la televisione ha lanciato senza sosta, dimenticando le più elementari regole del cibo.
i fritti perfetti del Maestro e il suo scàmmaro
Se ci pensate, sappiamo tutto di complicate ricette e poco della natura del lievito, o dei tempi, o del semplice calore delle mani che contribuisce a far lievitare...cose semplici.
Poi mi racconta quasi commosso che la sua cucina è ispirata alla nonna, quando io gli dico che per me la cucina è affetto e sapori ancestrali: la ricerca (peraltro descritta bene in un famoso libro) in cui ciascuno di noi cerca i ricordi dell'infanzia.
E così, mentre finisco di cenare, salta fuori mia nonna e la sua: la mia davanti al camino che mi faceva uova alla cocque perfette, nella cenere -e non so se mi spiego- e poi le patate sotto la cenere, mentre una pignata di fagioli e cotiche con alloro pippiava là nei pressi. La sua, da buona napoletana, rimestava nel pignatiello antichi ragù e zuppe.
La pasta fritta di Antonio è una vera delizia, mentre parliamo di sensazioni, io la mangio con le mani e lui mi guarda divertito: ma cosa è la cucina se non la memoria che innesta?
Il mio racconto preferito è quel perfetto Pranzo di Babette, che Karen Blixen scrive con dovizia e dove, una cena senza apparente senso, serve alla cuoca comunarda fuggita ad esprimere il suo talento in un paese che mangiava solo stoccafisso per stretta osservanza religiosa. Quella cuoca per anni aveva taciuto il suo talento, in silenzio, e vinta improvvisamente la lotteria offre un pranzo angelico per quel paese moralista: è il suo regalo, la sua arte. 
In quel racconto Karen come Antonio, ci intimano di scendere a contatto col peccato di gola ancestrale della memoria. Le famose mani nella marmellata da bambini: le nostre nonne, le pignatte, gli odori e le attese mitiche; la cosmogonia che ognuno si è formato nella testa, nella bocca e nel cuore. Le nonne, le mamme, le zie, l'asilo, e persino i convitti: la memoria è il fine di ogni buon pasto. E lo sapevano bene i greci che nei simposi facevano svolgere dialoghi filosofici, ritrovi di cultura e declamazioni del passato e di memoria; Napoli dalla Sanità fino a via Settembrini conserva gelosamente gli ipogei ellenistici, nel suo ventre più ventre, perfetti simposi eterni.
Poco prima della condanna morale, esiste il gusto. Esattamente lo stesso punto in cui i Greci situano l'Olimpo, sulla cima di una montagna inarrivabile ma ben precisa e conoscibile -e gli dei risiedono nell'Olimpo inarrivabili come i nostri ricordi, miei e di Antonio-  in fondo ognuno di noi, sa che non potrà ritrovare quella cima di perfezione delle nostre nonne. 
Ma stasera le cechiamo con affetto, ce le raccontiamo e ci facciamo un brindisi: mitiche come Giganti e Titani, stasera ci sono venute a trovare, merito della cucina e di Antonio, che ha portato Napoli nel Mondo.

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