Quando gli ultimi sciuscià tentarono una cooperativa a Napoli

Zi Tonino 'o Sciuscià
È finito l'ultimo dei lustrascarpe Tonino, lo sciuscià di via Toledo. La sua storia parla di quando dopo la guerra gli scugnizzi diventarono "shoe shine" - napoletano sciuscià- lucidando le scarpe di vernice dei soldati americani, ma non solo.
Secondo l'Accademia della Crusca la parola sarebbe dapprima apparsa sui giornali di Roma, ma è inevitabile associarla al capolavoro omonimo di Vittorio de Sica del 1946 che vinse l’Oscar come miglior film straniero.
“Il mio scopo è rintracciare il drammatico nelle situazioni quotidiane, il meraviglioso della piccola cronaca, anzi, della piccolissima cronaca” ebbe a dire De Sica del suo lavoro. Il neorealismo dopotutto parte dall’osservazione della realtà che era allora come oggi, fatta di strade, mestieri e sacrifici.

Zi’ Tonino, al secolo Antonio Vespa, aveva davvero lustrato le scarpe di Totò e di Vittorio De Sica, Gina Lollobrigida e anche Silvio Berlusconi.
La cassetta di legno per i clienti, con la scritta “Zio Tony” e varie bottiglie in plastica con il lucido, stracci e spazzole e poche altre cose era una versione ridotta delle elaborate sedute degli sciuscià più antichi, e qualche volta,Tonino si sedeva pure lui per via dell'età. Ma la memoria degli sciuscià annovera anche un tentativo di cooperativa che cercava di salvare l’antico mestiere: Antonio Sanchez e Gennaro Caiazzo, avevano oltre 70 anni quando nel 1999 chiusero definitivamente la loro bottega difronte al San Carlo, e segnarono così il penultimo capitolo della storia della nostra tradizione. Già nel 1992 erano andati al Maurizio Costanzo Show per lo sfratto del loro locale, ricevuto in dono dall’allora presidente dell’azienda autonoma di soggiorno. Erano riusciti a tenere duro quasi fino alla svolta del Millennio, e raccontavano di essersi conosciuti nel Bosco di Capodimonte dove cercavano già dal 1942 le scarpe da lucidare, anche prima dell’arrivo degli alleati. Fino al 1975 erano rimasti ambulanti inseparabili con la grande decisione di aprire una bottega insieme: e così avevano fatto. Fino agli anni ’60, ci raccontava lo sciuscià Antonio Esposito, erano ancora una quindicina gli sciuscià di Napoli, tutti piazzati in fila nella galleria Umberto ad aspettare le belle scarpe del pubblico e degli artisti tra Salone Margherita, Teatro San Carlo e Augusteo.

Ci piacerebbe vedere un giorno un monumento allo sciuscià: uno di quei loro troni spesso fastosi su cui facevano accomodare i clienti. E lo vorremmo forse proprio difronte al Teatro San Carlo, dove fu tentata la cooperativa.
E’ un mestiere che nelle zone povere del resto del mondo non si è ancora estinto, ed ha nel corso della storia, riguardato tutta Italia. Ma è il napoletanissimo Vittorio De Sica ad aver fermato e sintetizzato per sempre quella memoria di sopravvivenza da lui conosciuta fin troppo bene a Napoli, legata al periodo post bellico ma anche precedente ad esso, in cui molti storcevano il naso davanti alla miseria e all’umanità del neorealismo. In tutto il mondo ci sarà sempre qualcuno chino a lustrare le scarpe fortunate di un altro. Eppure, Tonino, come tutti i suoi predecessori non più scugnizzi,  fino alla fine hanno lucidato la dignità in un mestiere di fortuna, di quando inventi la vita, e persino una parola dall’aspro retrogusto napoletano.


Si ringrazia Ferdinando Kaiser per le foto di Zio Tonino.

Commenti

Post popolari in questo blog

I capolavori di Caravaggio per una passeggiata romana

Cento anni di dolce Remy a Napoli, capitale del gelato

Il mercato ittico di Luigi Cosenza capolavoro dell’arte è in vendita