E Coppi volò al Vomero, 1 giugno 1947, e scrisse allora una toccante lettera







La Tappa del 30esimo Giro d'Italia il primo giugno del 1947 aveva conclusione a Napoli, al Vomero.
Era stata incerta fino alla fine da Cassino in poi, e non si sapeva chi avrebbe vinto. E come sempre nella loro leggenda, Fausto e Gino si dettero battaglia e anche tutta Napoli  sulla salita della collina napoletana era divisa tra il loro tifo . Ma allora Coppi diede la sua pedalata decisiva, e pedala pedala come dice la bella canzone di Gino Paoli 
https://www.youtube.com/watch?v=Nnr2TZ2JKvs )  vinse senza appello. La polvere si alzava, e quel giorno,  e Napoli festeggiò il suo campione.
Ma Fausto era malinconico: il fratello si era fratturata una gamba nella tappa di Perugia  del giorno prima ed era ricoverato a Cortona, e così gli scrisse una splendida lettera malinconica da  Napoli : " Ho vinto in una difficile volata contro un Bartali (...) Le cose di sempre insomma, le cose di ogni vittoria, ma che ogni volta acquistano un sapore nuovo ed intenso, la gioia segreta dell'uomo di essere, in un qualunque momento della sua vita, il più forte..."
Mai come ora abbiamo bisogno di campioni.E' bello leggere questa lettera di un fratello all'altro,mentre la vittoria arrivava e il pensiero correva sui pedali della tristezza di non poterla condividerla. Nessuno allora poteva sapere che fatalmente dietro l'angolo, nel 1951 
per una ennesima caduta, Serse Coppi sarebbe fatalmente morto per il trauma cranico riportato. Allora,lo sport era una cosa seria, da uomini coi sentimenti.

----Lettera all'ospedale di Cortona di Fausto Coppi al Fratello Serse.
  
"Stasera al Vomero, Serse, avresti sorriso. 
Ho vinto in una difficile volata contro un Bartali impegnatissimo a dare la grande soddisfazione ai suoi molti tifosi di Napoli. Mi hanno fotografato, intervistato, fatto parlare alla radio, colmato le braccia di fiori. Le cose di sempre insomma, le cose di ogni vittoria, ma che ogni volta acquistano un sapore nuovo ed intenso, la gioia segreta dell'uomo di essere, in un qualunque momento della sua vita, il più forte... Ma una vittoria è mutilata e sterile se non si può parteciparla, riviverla con una persona cara. E noi due, tutte queste gioie, le mescolammo sempre nel nostro affetto e ci parve, nel dircele, che fossero ancora più belle. Tu stasera, Serse, non eri da me col sorriso polveroso e felice a stringermi silenziosamente il braccio nella vettura che ci porta in albergo dopo la faticosa corsa... Tu eri invece lontano in un bianco lettuccio d'ospedale, come in quei raccontini commoventi che si trovano sui giornali per ragazzi; eri laggiù con la tua gamba dolorosamente ferma che, forse, nell'ascoltare la radio-conaca della corsa ha avuto un fremito impercettibile nel pensiero di una pedalata, quasi per aiutarmi ad arrivare primo. Sono arrivato primo, Serse, ma stavolta non sono <molto contento>, come si usa dire al microfono nelle smozzicate frasi del dopocorsa. Non sono molto contento perché ti ho perduto per via, per quella strada livida di polvere che porta a Perugia. Quella sera, Serse, dopo l'arrivo scongiurai Zambrini che mi portasse da te. Piangevo anche... Purtroppo nello sport, come in un combattimento, non ci si può mai voltare e dondolarsi sulla facile vena dei sentimentalismi. Non so se questo l'hanno capito i miei tifosi che mi chiedono l'autografo e tengono la mia fotografia in tasca. Non so se l'hanno compreso quelli che troppo facilmente cantoneggiano sui miei lauti giuadagni e sospirano invidiosi al pensiero di una vita facile, un biglietto da mille per cento pedalate; non so se hanno mai considerato come sia amara quella disciplina che mi costrinse ad andare a letto (anche se non potevo dormire) quella sera che scongiuravo Zambrini di portarmi da te. Se hanno compreso insomma che anche noi atleti, come tutti, abbiamo i nostri sacrifici amari, che non si sanno. Stasera ho vinto, Serse, ma non sono molto contento perché, per quanto tenda l'orecchio ogni tanto nella gara, non odo il fruscio familiare della tua ruota sulla mia e se mi volto non vedo, tra i tanti avversari, la tua ciondolante figura di impareggiabile fratello che arranca veloce per prendermi, anche per darmi, se lo chiedo, tutta la bicicletta. Stasera, dopo che avevo tagliato il traguardo e ancora non ero sceso di macchina, Leoni mi si portò al fianco e mi abbracciò per la gioia. Leoni è il mio caro compagno, e fui felice del suo gesto. Ma tu mancavi, ed era buffo che i fiori che mi diedero mi sembrassero come avvizziti. Guarisci presto, Serse. Tuo Fausto."

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