L'installazione contemporanea di Alfonso d'Aragona, testamenti disattesi


Arche Aragonesi, S.Domenico Maggiore
La storia dell’arte è fatta spesso di testamenti disattesi e volontà inevase. Una delle installazioni contemporanee più innovative del Rinascimento di Napoli, fu purtroppo sottovalutata: il cuore di Re Alfonso il Magnanimo, come un novello Virgilio pubblico, doveva ciondolare al centro dell’arco di Castel Nuovo in uno scrigno d’argento, ricordando la gloria della casata. E come in una simpatica allegoria, rammenta quell'altra collezione che giace sottovalutata alla Reggia di Caserta, #TerraeMotus di Lucio Amelio...
All’alba del 28 giugno 1458, re Ferrante cavalcava sulle strade di Napoli in direzione delle allora “circoscrizioni comunali” dei Seggi, per annunciare la sua ascesa al trono. Nella notte era morto il padre, re Alfonso il Magnanimo: per lui, figlio illegittimo della napoletana Gueraldona Carlino, era arrivato finalmente il tempo. La città in quei giorni di giugno era in ginocchio: la peste non dava tregua, e i morti si contavano a decine per i vicoli; i nobili si allontanavano verso l’aria buona delle campagne. Fu forse per questo motivo, che non si fece il funerale del Magnanimo, fatto anomalo per una dinastia che all’etichetta ci teneva moltissimo.
L'arca di Re Alfonso Il Magnanimo (oggi vuota)
Alfonso già grave, fu traferito all’Ovo e fece testamento il 26 giugno, il tempo di rimettere peccati e diritti di successione in chiaro. In Castel Nuovo inatnto, era ospitato il nipote pretendente Carlo Principe di Viana, prontamente accorso alla notizia dell’aggravamento. Che se la vedessero lui e Ferrante, mentre il suo corpo fisico lasciava la terra nello spazio neutro del castello virgiliano.
Il castellano protonotario Arnaldo Fornolleda prese nota delle volontà: il re chiese di essere sepolto nella nuda terra della sua Catalogna al monastero di Poblet, senza pompa magna e vicino agli avi. Forse lo presero alla lettera, vista le ristrettezze economiche del momento. Sia quel che sia, all’uso aragonese-merovingio, fu eviscerato e si scoprì che aveva il cuore 4 volte più grande del normale (magnanimità anatomica o ipertrofia miocardica vista l’acqua nei polmoni?). E qui comincia il bello; come una reliquia, Alfonso prima di diventare una mummia, venne spartito, con grande confusione. Carlo II d’Angiò destinò il corpo ad Aix-en-Provance e il cuore a S.Domenico Maggiore, Carlo I lasciò le viscere a Foggia e il corpo al Duomo di Napoli, Luigi III d’Angiò il corpo al Duomo e il cuore spedito direttamente in Francia alla madre Violante. Un traffico d’organi non indifferente. Comunque, quel che restava del povero re, venne rapito da Giovanni Torella castellano di Ischia e cognato di Lucrezia d’Alagno -già accorta amante immobiliarista del re e invisa al figlio Ferrante- forse per un riscatto o merce di scambio. Ci volle una guerra perché Ferrante riportasse il tutto all’Ovo. E lì rimase fino al luglio del 1504, quando una cedola della tesoreria aragonese, indica l’acquisto di drappi per i feretri di Alfonso I, Ferrante I e Ferrandino, nelle cosiddette arche aragonesi di S.Domenico Maggiore.
xilografia 1874 Arco di Trionfo chiuso
A raccontarla tutta, pare che la testa di Alfonso fosse già stata inviata a Cefalù su indicazione di Ferdinando il Cattolico, e siccome non c’è pace per le reliquie, nel dicembre 1506 scoppia un incendio in San Domenico e le arche ne sono danneggiate con grande confusione di resti. Quando nel 1667 le spoglie mortali di Alfonso furono trasferite davvero a Poblet, dando finalmente esito al suo testamento, Carlo Celano scrive commosso che nel prendere la testa del sovrano, il cui corpo giaceva in uno strano doppiofondo della cassa, non riuscì a contenersi dalle lacrime “vedendo così quella testa, che tanto fu savia, tanto valorosa, tanto pia”. Testa di chi, non è dato saperlo.

Il colpaccio venne da una brillante idea mentre si completava  la splendida porta di Castel Nuovo: si era evidentemente già capito che Donatello non avrebbe mai finito il ritratto monumentale a cavallo oggi frammento al Mann, e le cedole della Tesoreria Aragonese mostrano il pagamento di un argentiere affinché cesellasse uno scrigno in cristallo per sospendere il cuore del re all’Arco. Un Virgilio finalmente pubblico avrebbe penzolato alla vista di tutti, tra il corteo trionfale e le virtù scolpite. Questa si che era una installazione contemporanea! Peccato che non se ne fece niente. Tutta la complicata faccenda dei resti di Alfonso, nella sua confusione, assomiglia a quella del lascito Amelio alla Reggia di Caserta. Volontà geniali e incomprese, 560 anni fa come oggi.

Commenti

Post popolari in questo blog

I capolavori di Caravaggio per una passeggiata romana

Il mercato ittico di Luigi Cosenza capolavoro dell’arte è in vendita

Cento anni di dolce Remy a Napoli, capitale del gelato